Ma, attenzione! Queste parole possono essere un monito, un’indicazione… nulla di più.
Guai a dire “Ah, certo che a quei tempi…”. Ed proprio la prima citazione (di Dante Volpe) a metterci in guardia: Sono convinto che ogni uomo vive nella sua epoca e che sia giusto così. E’ inutile dire “una volta… una volta…”: sono tutte palle: piuttosto bisogna avere il senso critico per comprendere, capire, essere obiettivi e saper trarre dal passato gli insegnamenti che ci sono utili nell’oggi. Io personalmente non sono mai stato ancorato al passato, credo che sia il modo migliore per vivere bene il presente.
Importante , invece, che il Carnevale sappia ritrovare la “sacralità” dello Stato Maggiore: In quegli anni – sempre Dante a raccontare – in cui toccare la mano al Generale od essere salutati da un Ufficiale era un onore, io sognavo di indossare la divisa dello Stato Maggiore, così come tutti quelli che tiravano le arance insieme a me… poter dire “ho fatto l’Ufficiale” era un motivo di onore per ogni giovanotto eporediese, era un po’ come diventare una Guardia Nobile del Papa. In molti poi sognavano di fare il Generale, che era visto come un Senatore, un vero nume .
Uno Stato Maggiore che, pur nel rispetto dei tempi che cambiano, deve rifarsi ai “tempi andati”: Una cosa che trovo estremamente cambiata da quegli anni che allora non trovavi nessuno che partecipava al Carnevale per comandare o per imporre le sue idee: oggi si può dire la stessa cosa? Lo Stato Maggiore si guadagnava sul campo l’onore, l’affetto e la stima della gente, gli Ufficiali erano bravi cavallerizzi che svolgevano tutti i servizi di ordine pubblico, dalla gestione dei carri da getto al passaggio degli altri personaggi. Oggi sono dei borghesi o dei poliziotti a svolgere quelle mansioni, ma non bisogna dimenticare che, quando venne fondato nel 1808, lo Stato Maggiore aveva proprio queste finalità. Napoleone (o chi per lui, visto che l’Imperatore doveva già pensare a Mosca o alla Repubblica Cisalpina), avendo saputo che ad Ivrea, importante crocevia, c’erano liti e botte fra i cinque carnevali, concesse ad una persona stimata, Savino Pezzati, l’alto onore di vestire l’uniforme dei suoi generali ed un generale non poteva circondarsi di belle statuine, ma doveva scegliersi uomini capaci di assumersi responsabilità e di gestire qualsiasi situazione. Sono stati i primi poliziotti motociclisti, nel dopoguerra, che hanno fatto venire meno questa importante funzione pratica, a anche questo un mutamento da imputare ai tempi che cambiano: neppure Napoleone poteva immaginare che questo “nuovo” Carnevale sarebbe durato dei secoli .
L’esperienza di chi ha vissuto il Carnevale, tanti Carnevali, negli anni andati, un tesoro prezioso che può essere sfruttato per garantire la continuità storica della manifestazione ed evitare pericolose derive. Racconta ancora Dante: Oggi a mio avviso c’è troppa ufficialità “gestita”, qualche anno fa mi sono preso lo sfizio di contare a quante cene fossero costretti a partecipare il Generale e lo Stato Maggiore: ebbene, erano 37, troppe, davvero assurdo! Troppo protocollo! Una volta bastava la cena di chiusura, perchè lì si ritrovavano tutti i protagonisti… e il Generale era il Generale: tutti venivano a trovarlo, lui non andava da nessuno, perchè era lui il protagonista. Oggi invece il re va a servire e si sobbarca un tour de force nel quale risulta difficile riuscire a divertirsi. Trovo anche che nello Stato Maggiore sia venuto meno lo stile di una volta, ma non giusto accusare i ragazzi che ne fanno parte: sono soprattutto organizzatori e qualche Generale privi di “cultura storica” che li portano fuori dai binari. Mi viene in mente, a questo proposito, un episodio eclatante: nel 1993, il Giovedì Grasso, vedo gli Ufficiali senza sciabola davanti al Municipio per la cerimonia del Passaggio delle Consegne. Chiedo il perchè di questa stranezze e mi viene risposto che un problema di tempi tecnici, riporre le sciabole dopo la cerimonia avrebbe rubato minuti preziosi al programma. Cose da pazzi! Sono esploso e con quattro parole ben dette ho convinto il Generale che lo stavano spingendo a commettere un’enorme stupidaggine; qualcuno per guadagnare qualche minuto voleva, per mancanza di rispetto delle tradizioni, violare la storia del Carnevale e il rispetto della divisa dello Stato Maggiore. La cerimonia si è poi svolta con le sciabole al fianco degli Ufficiali .
Pillole di saggezza, nei ricordi di Dante: Il primo Carnevale del dopoguerra mi ha visto sfilare come Ufficiale: non ero più solo il figlio di Attilio Volpe, ma incominciavo a vivere direttamente quella favolosa esperienza che il nostro Carnevale. La divisa l’ho sempre indossata con rispetto e con stile, ho sempre fatto in modo di non confondermi con quelli che definivo gli “Ufficiali dell’accademia di San Siro”, gente che passata senza lasciare un segno. Sono stato Ufficiale per quattro anni, poi sono stato promosso Aiutante di Campo e per undici anni sono stato al fianco dei Generali che si sono succeduti nella carica, ricoprendo il ruolo di direttore di corteo… non era solo una carica formale, perchè eravamo proprio noi dello Stato Maggiore a gestire il “giro”. Eravamo poi a completa disposizione di Mugnaia e Generale per tutte le loro necessità: ogni loro desiderio era per noi un ordine, che eseguivamo con piacere. Io ho sempre cercato di essere davvero al servizio dei personaggi, badando al sodo, ma quanti miei colleghi ho visto studiare per giorni come appuntare la spilla alla Mugnaia o altre frivolezze, quanti sederi di Aiutanti ho visto offuscare l’immagine della Mugnaia stessa… per me questi erano soprattutto Aiutanti da salotto, una delle loro principali ambizioni era quella di riuscire bene nelle foto. Io no… per me l’importante sempre stato cercare di dare qualcosa al Carnevale; per imparare ad appuntare una spilla sono sufficienti due minuti, ma per imparare a conoscere il Carnevale non basta una vita. La “carriera” poi proseguita e sono arrivati i generalati. Quando stata la mia volta di ricoprire il ruolo che era stato di mio padre, ero preparato, sapevo cosa dovevo fare e nessuno dei miei Aiutanti si mai permesso di alzare la voce: non ce n’era bisogno e tutto sempre filato liscio .
Un Generale autorevole, ma mai altezzoso: In quasi mezzo secolo ho fatto di tutto per il Carnevale: non mi sono mai vergognato di spostare una transenna o di pulire un tavolo, magari l’anno dopo essere stato Generale. Ho visto invece persone farsi rovinare dalla festa, gente che dopo esserene stata interprete ha creduto di essere diventata dio in terra. Costoro non hanno capito sono tre giorni di divertimento, ma che il Mercoledì, quando tiri su la serranda, devi tornare quello di prima
Passano gli anni, cambiano mode e abitudini, si succedono le figure alla guida del Carnevale e cambiano i volti sotto le feluche dello Stato Maggiore. Ma nel Carnevale di Ivrea c’è qualcosa di immutabile, come ci ricorda Dante Volpe: Se lo volete vivere intensamente il Carnevale d’Ivrea ancora oggi una cosa grandissima, incredibile. Dal 1808 ad oggi questa manifestazione passata attraverso guerre mondiali, rivoluzioni, un quarantotto ed un sessantotto, ha visto disfare stati e nascere nuove nazioni. Ma il Carnevale di Ivrea c’è ancora, grazie a uomini che l’hanno amato, a gnomi, fate e al fato che l’hanno protetto. La forza del Carnevale nella sua gente, che lo sa amare anche quando rischia di perdere le sue origini popolari, anche quando le majorette e la folla che viene da fuori senza conoscerlo rischiano di trasformarlo in una festa qualsiasi. E nei momenti difficili emerge il “vero” amore per il Carnevale, com’è avvenuto nel 1991 durante la guerra del Golfo, quando solo i veri Eporediesi, quelli che non si sono lasciati strumentalizzare dalla falsa pietà si sono stretti attorno a Mugnaia e Generale per fare il vero Carnevale. In quei giorni ho rivisto tra la gente quello spirito genuino, popolano che proprio della nostra festa. In fin dei conti anche nel 1940, quando mezza Europa era già in guerra, noi abbiamo fatto Carnevale e nessuno ha trovato alcunchè da ridire
Sono attuali, ad esempio, le parole di “Paulin” Gianotti: Nello Stato Maggiore c’era un gruppo di una decina di persone, grandi amici, formato dagli Aiutanti, dal Segretario e da qualche Ufficiale: si vedevano tutto l’anno e tutte le sere parlavano di Carnevale. Ivrea aveva in quel gruppo di persone un punto di riferimento per le sue tradizioni, la gente appassionata di Carnevale sapeva dove trovarci e se per molti il Carnevale finiva al martedì sera per noi durava tutto l’anno. Quando il comitato voleva fare qualcosa di nuovo e un po’ troppo fuori dalle regole il nostro commento era: “A l’ ‘n trvaj dle galin-e” e loro ci ascoltavano, eccome! Le riunioni dello Stato Maggiore le facevamo in diversi bar, ma negli anni Cinquanta e Sessanta era soprattutto Ferruccio del bar Italia che ci metteva a disposizione una saletta nel retro, ma eravamo i benvenuti ovunque .
E non scherza Riccardo Diane, quando spiega: Il Carnevale una manifestazione che rende Ivrea unica al mondo, io per 35 anni ho cercato di dare tutto me stesso al Carnevale, quando era necessario io ero sempre pronto, dimenticando la famiglia e il lavoro. Sì: quello che dico proprio vero! Basta chiedere a mia moglie Giovanna. Ricordo ancora il primo anno da Aiutante, mia moglie mi raggiunse al Giacosa in uno dei palchi riservati allo Stato Maggiore, ma io mi sentii in dovere di stare tutta la sera vicino al Generale: capivo che stando vicino a Foscale c’era veramente da imparare e anche con Stragiotti che era l’Aiutante al Generale non c’era da scherzare. A quei tempi o imparavi presto e bene o era tagliato fuori, come successo a diversi Aiutanti che hanno capito in fretta che le braje bianche non erano fatte per loro .
E una preziosa lezione giunge da Lucio Leggero: Ricordo che quando ero Ufficiale ho passato degli anni davvero spensierati: comportamenti seri quando eri chiamato a fare il serio, ma anche tante occasioni per divertirti, senza mai dimenticare che indossavi la storica divisa di Guardia del Carnevale. Nel 1963 il Generale Foscale mi nominò Aiutante di Campo e il divertimento cambiato: subentrata la soddisfazione personale di avere un ruolo più impegnativo e di prestigio, per credetemi cari Ufficiali, non ambite più che tanto ai pantaloni bianchi perch c’è il rischio di incasinarsi davvero. Oggi molto più di ieri gli impegni sono tanti e se si vuole farli con responsabilità c’è poco da stare allegri. Sono proprio tante le cose che si devono imparare e sapere mettere in pratica, soprattutto oggi che, come si è nominati, si è subito chiamati a seguire o il Generale o la Mugnaia o gli Ufficiali. Secondo me questo metodo non giusto, era meglio come facevamo noi: io ad esempio per i primi tre o quattro anni pur indossando le Braje bianche mi sentivo “allievo Aiutante“, c’erano i vecchi Paolin Gianotti, Vincenzo Stragiotti e Pier Fausto Cavallo che con la loro esperienza gestivano lo stato Maggiore, io li seguivo attentamente, facevo tesoro di come si muovevano e mi sono accorto che anche da Ufficiale addetto, cioè quando si ha un incarico, non la stessa cosa .
I tempi cambiano e le innovazioni devono essere accolte, come spiega l’esperienza di Paolo Billia: Anno dopo anno ho visto il Carnevale di Ivrea che ha saputo arricchirsi con piccole novità che, pur rispettando l’antico canovaccio, hanno permesso alla festa di adeguarsi ai tempi e devo dire che gli esperimenti buoni sono continuati e gli altri si sono persi per strada. Tra le buone novità da ricordare c’è la cerimonia della “Prise du Drapeau”: avevamo visto da qualche parte fare il cambio della guardia e così ci siamo detti: “Perchè non facciamo anche noi qualcosa di simile?” Oggi la cerimonia parte importante del nostro cerimoniale: nella prima domenica degli Abbà tutto lo Stato Maggiore si schiera in piazza di Città e il Generale ordina ad un Suo Aiutante di Campo di andare a prelevare la bandiera del reparto; segue la presentazione ufficiale di tutto il corpo dello Stato Maggiore al Generale .
“Le citazioni sono tratte dai volumi “Dante Volpe” (1995) e “Stato Maggiore-parte prima” (1999) della collana “Voci del Carnevale di Ivrea”, raccolte e trascritte da Federico Bona e Riercarlo Broglia – Tipografia Ferraro Editrice in Ivrea”.
Le fotografie sono state gentilmente fornite dall’archivio fotografico della Famiglia Leggero.